Rosso Fiorentino – L’incanto e lo spavento
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Il vento del Manierismo si alzò dopo che il Rinascimento ebbe preparato il cielo artistico per una nuova stagione unica ed irripetibile. La Maniera, intesa in certi momenti come una tendenza negativa a fare arte lontano dal modello della natura, dimostrò in verità da subito il valore profondamente culturale che serbava nel proprio intimo e la sua potenzialità espressiva formale che avrebbe cambiato il modo di intendere l’opera e l’artista che la esegue. Accanto ai miti di Raffaello, Leonardo, Michelangelo, trovarono posto le figure di ingegni meno appariscenti ma in un certo senso più misteriosi. L’artista diveniva, in forma pienamente assodata, quell’uomo schivo e ritirato che cesellava i suoi pensieri, la sua arte, nell’intimo della bottega inespugnabile per il resto del mondo. Un modello che si rivelerà talmente suggestivo da sposare la visione romantica ottocentesca la quale, a sua volta, porterà tali fascinazioni fino al Novecento ed influenzerà il sentire comune, tuttora contemporaneo, che vuole il genio come un uomo a sé, unico ed inarrivabile, arduo da comprendere. Rosso Fiorentino fa parte, assolutamente, di quel tipo di uomini, ed il nostro immaginario continua ad alimentare intorno a lui quella nuvola di mistero che la sua poca biografia contribuisce a consolidare. Pittore virtuosissimo , amante delle forme inconsuete, carattere incomprimibile e superbo, ammaliò la corte francese e ci visse da principe. E principe fu anche della pittura, senza dubbio.
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